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Böcker i Classici della Letteratura Italiana-serien

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  • av Ernesto Teodoro Moneta
    345,-

    Come un vulcano che dopo una forte eruzione durata più giorni, manda ancora per un po' di tempo boati e faville, che tengono in allarme gli abitatori dei paesi circostanti, la rivoluzione che nel 1848 aveva scossa e sconvolta tanta parte d'Europa, ebbe l'anno appresso in parecchi paesi nuovi sussulti, e in Italia e in Ungaria nuove battaglie seguite da nuove catastrofi. Dei moti insurrezionali ritentati nel 1849 in Germania, già si parlò in capitoli precedenti.

  • av Egisto Roggero
    345,-

    ¿ Nulla di nuovo per me? ¿ Qualche lettera e dei giornali. Questo il breve dialogo che avveniva sulla soglia di un vecchio palazzone cinquecentista, posto nella via più tranquilla e più solitaria di una città di questo mondo. I due interlocutori erano: la mia vecchia portinaia ed io. Dopo del quale, fattomi padrone della mia posta del mattino o della sera, faceva, leggero o di corsa (la leggerezza e la corsa dell'artista e della giovinezza), la dozzina e più fra rampe e pianerottoli che, dal selciato sì poco noto e battuto della silenziosa via, m'innalzava sino a quel complesso di stanze, di cose svariate e sopratutto di disordine, che io chiamava il mio nido d'arte.

  • av Saverio Bettinelli
    345,-

    Tutto l¿Elisio, o Arcadi, è posto in tumulto dagl¿italiani poeti, che, d¿ogni età, d¿ogni stato, qua scendono in folla ogni giorno a perturbare la pace eterna de¿ nostri boschetti. Par che la febbre, per cui gli abderiti correvan le strade recitando poemi, sia venuta sotterra cö vostri cantori, verseggiatori e poeti importuni, a profanare con barbare cantilene ogni selva, ogni fonte, ogni grotta, sacra al silenzio e alla pace dei morti. Ogn¿italiano che scende tra noi, da alcun tempo in qua, parla di versi, recita poemetti, è furibondo amatore di rime, e recasi in mano a dispetto di tante leggi infernali o tometto, o raccolta, o canzoniere, o sol anche sonetto, e canzone, che vantasi d¿a...

  • av Giovanni Battista Casti
    345,-

    Non sol nelle cittadi e nei palagi Regna amor, nè di splendide vivande Solo si nutre e di mollezze e d'agi; Ma si pasce talor d'erbe e di ghiande, E su poveri tetti e fra i disagi Della rustica vita il poter spande; Nè sdegna le capanne e le silvestri Inospiti campagne e i monti alpestri.

  • av Vittoria Aganoor
    345,-

    Sotto la luna i mille cavalieri, come a squillo che chiami alla raccolta, vanno, volano, ansanti, a briglia sciolta, curvi sul crine dei cavalli neri.

  • av Giuseppe Garibaldi
    345,-

    Genova, 22 settembre 1855. Gentilissima Signora, Io fui assai onorato dal voler lei occuparsi della mia vita, e quando le inviai que' poveri manoscritti che ne trattano fu perché ne facesse ciò che li pare, certo di guadagnar sotto il suo patrocinio. Ritratti non ne ho presentemente, ma subito che me ne capiti alcuno mi farò un dovere di presentarglielo. Io nacqui il 4 luglio 1807 ed il nome del suo servo è GIUSEPPE GARIBALDI. Caprera, 28

  • av Vito Volterra
    345,-

    La sostanza di questo articolo costituì il discorso inaugurale letto nella solenne apertura della Università di Roma nel 1901 e pubblicato nell'Annuario della Università dell'anno 1901-902, riprodotto poi nel Giornale degli Economisti, Serie II, vol. 23, 1901. Esso fu stampato in Francese nella Revue du Mois, anno I, n.° I. Paris, Soudier, 1906, quindi nel vol. III, fasc. II, dell'Archivio di fisiologia (Firenze, gennaio 1906). Anatole France, quell'acuto e geniale filosofo e romanziere, delizia di tanti delicati lettori, racconta questo aneddoto.

  • av Luigi Desanctis
    399,-

    Grazie, mio caro amico: ho saputo dal nostro Console che tu hai spesso domandate le mie notizie, e mi hai offerto cordialmente tutti i soccorsi. Io non mi aspettava meno dalla tua amicizia; ma nell¿inferno ove mi trovava non poteva giungermi alcuna notizia. Ora eccomi di nuovo, dopo due anni di pene, ricondotto a vedere la luce del giorno, ed a godere quella libertà che non pensava mai poter riacquistare. Anche tu temevi forse di aver perduto il tuo amico per sempre; ma ecco lo hai ritrovato, e doppiamente trovato: non solo mi ritrovi come l¿amico dell¿infanzia; ma come un fratello nel comun nostro Padre e Salvator Gesù Cristo.

  • av Domenico Maria Manni
    345,-

    SE la prima volta che io ho l'onore di ragionare a voi, virtuosissimi ascoltatori, studiosissima gioventù, fosse il mio dire rivolto non a mostrare la necessità dalla toscana favella, quale è veramente il mio scopo, ma a narrare i pregi di essa, stimerei certamente d'avere a mano impresa, quanto a me difficile sovrammodo, poichè di gran lunga alle forze mie superiore, altrettanto a voi, che vi degnate d'udirmi, inutile e vana; imperciocchè farei parola di cosa, per cui non vi ha encomio bastante, e la quale voi meglio di me conoscete. E ben, come potre' io le sole principali prerogative di nostra favella enumerarvi a parte a parte, conciossiachè ella abbia in sè raccolto ciò...

  • av Galileo Galilei
    345,-

    (Padova, 7 maggio 1610) Ill.mo Sig.re et Padre Col.mo Come per la mia passata accennai a V. S. Ill.ma, ho fatte 3 lezioni publiche in materia de i 4 Pianeti Medicei e delle altre mie osservazioni; e avendo auta l¿udienza di tutto lo Studio, ho fatto restare in modo ciascheduno capace e satisfatto, che finalmente quei primarii medesimi che erano stati acerbissimi impugnatori e contrarii assertori alle cose da me scritte, vedendosela finalmente disperata e persa a fatto, costretti o da virtù o da necessità, hanno coram populo detto, sé non solamente esser persuasi, ma apparecchiati a difendere e sostener la mia dottrina contro a qualunque filosofo....

  • av Pietro Metastasio
    399,-

    Il dolore, la confusione e la natural repugnanza a sì funesto ufficio mi scuseranno appo V. S. illustrissima, se nello scorso ordinario non le recai la dolente novella dell'immatura morte del mio caro maestro e benefattore, del fu signor abate Gravina, che Dio abbia in cielo. Fra le lagrime di tutta l'Europa, che farà giustizia a quel grande uomo, so che più giuste non potranno spargersene delle mie che, dopo essere stato da lui dall'undecimo fino al vigesimo anno dell'età mia con tanto dispendio e contraddizione alimentato e educato, e, quello che maggior tenerezza mi desta, ammaestrato...

  • av Guido Gozzano
    345,-

    Torino, (13) aprile 1907 Cortese Avvocato, ieri sera ho ritrovato fra le pagine del suo libro un poco di quella fraternità spirituale che la sua offerta mi rivela. Il rimpianto di ciò che fu, e l¿ansia di ciò che non è ancora, e il sottile tormento del dubbio, e l¿ebrezza folle del sogno, tutte le cose belle e perfide di cui noi poeti si vive e ci s¿avvelena. Non ho ancora assaporato le squisitezze dell¿arte, solo ho sfiorato l¿essenza, l¿anima della sua poesia: un¿anima un poco amara, un poco inferma. Spero che la sua fraternità non sarà più tanto silenziosa, ch¿essa vorrà esprimersi in modo più diretto.

  • av Pio Rajna
    499,-

    Il desiderio di un libro speciale intorno alle fonti dell¿Orlando Furioso nacque, credo, anzitutto nella mente di Giosuè Carducci. Da lui, in nome del Comitato che veniva preparando le feste del Centenario Ariosteo, io ebbi l¿invito a intraprenderlo. E la pubblicazione si sarebbe dovuta fare in occasione appunto del Centenario, ossia nel 1875; ma l¿estensione impensata del lavoro produsse un inevitabile ritardo, e il volume vide la luce solo nell¿anno successivo. Gli andava innanzi una prefazione, che mi giova riportare quasi per intero, non senza permettermi di ritoccarla dove di ritocchi abbia bisogno, senza l¿affettazione e l¿ingombro di segnalazioni speciali.

  • av Giuseppe Rovani
    345,-

    Uno Stato che, dopo aver raggiunto, quasi potrebbe dirsi, un primato di prosperità, di floridezza e di coltura, si arresta improvviso, tentenna, si sconnette, perde finalmente tutto quanto aveva acquistato con un lavoro assiduo di mezzo secolo; nè solo perde ciò che possedeva di bello e di grande, ma cade nel più profondo della miseria e del languore; questo Stato, io dico, presenta senza dubbio uno spettacolo troppo degno che alcuno vi si fermi coll'attenzione; e tanto più in quanto contemporaneamente e nel medesimo paese...

  • av Carlo Matteucci
    345,-

    Nel settembre dell'anno 1847 imprendemmo a compilare alcune lezioni elementari di elettricità applicata alle arti industriali, all'economia domestica e alla terapeutica. Convinti che la diffusione delle cognizioni scientifiche, l'educazione delle menti agli studii sperimentali, e le applicazioni delle scienze fisiche all'industria sono, sopra tutto nell'età presente, strumenti principali della prosperità materiale e della grandezza politica di un popolo, di buon grado accogliemmo l'invito fattoci dal benemerito tipografo il signor Pomba di Torino, per la compilazione di quelle lezioni. Nutrivamo così la speranza di contribuire, come meglio ci era dato...

  • av Giuseppe Rovani
    345,-

    Siamo nel 1517, quasi due anni sono trascorsi, la congerie degli elementi si è accresciuta; ed ora da Milano, sulle traccie di taluni de' nostri personaggi, ci conviene passare a Roma. A dieci miglia da questa città, chi non si dilunga dalla Via Appia, vede sorgere sull'alto bordo d'un cratere il Castel Gandolfo, così chiamato dalla famiglia Gandolfi, che forse lo edificò nel secolo XI. Passato da quella casa illustre, sul principio del secolo XIII, ai Savelli, e da questi, nel XIV secolo, ai Capizucchi, fu nel 1436 da Eugenio IV fatto saccheggiare e distruggere, e ritornò poscia in proprietà de' Savelli, che lo tennero fino al 1596, nel quale anno passò alla Camera.

  • av Santa Caterina Da Sierra
    399,-

    Libro della divina dottrina volgarmente detto Dialogo della divina provvidenza

  • av Niccolo Palmeri
    345,-

    La rendita della terra, il profitto che ne trae l¿agricoltore, e la ricchezza di lui, sono gli argomenti infallibili onde conoscere se l¿agricoltura in un paese prosperi e fiorisca. Quali conseguenze possiamo noi trarre dall¿applicazione di questa verità alle circostanze attuali della Sicilia? Le terre non trovano oggi più a darsi a fitto: e se qualche podere s¿alloga, il nuovo fitto è d¿ordinario la terza parte, e delle volte anche meno, del precedente: e questo male non par che voglia fermarsi; chè anzi è da temere a ragione che tale calamità debba progredire con passi più rapidi.

  • av Emilio Salgari
    399,-

    Le Tigri di Mompracem

  • av Ernesto Teodoro Moneta
    345,-

    Venuta per rinnovare il mondo, fra i tanti mali che la rivoluzione francese voleva distruggere ¿ tirannide, superstizione, privilegi ereditari e di classe ¿ la guerra teneva uno dei primi posti. In tutto quel periodo che fu la preparazione intellettuale della rivoluzione, dall'abate Saint-Pierre a Diderot, da Voltaire a Rousseau, i grandi pensatori, i poeti e gli economisti, nell'Enciclopedia e col teatro, col romanzo e colla satira, avevano gli uni stimmatizzato, gli altri anatomizzato la guerra, condannandola come la massima piaga e ad un tempo l'onta maggiore dell'Umanità, e causa principale del dispotismo dei re.

  • av Gabrielle Dánnunzio
    345,-

    Io vidi con questi occhi mortali in breve tempo schiudersi e splendere e poi sfiorire e l'una dopo l'altra perire tre anime senza pari: le più belle e le più ardenti e le più misere che sieno mai apparse nell'estrema discendenza d'una razza imperiosa. Su i luoghi dove la loro desolazione, la loro grazia e il loro orgoglio passavano ogni giorno, io colsi pensieri lucidi e terribili che le antichissime rovine delle città illustri non mi avevano mai dato. Per scoprire il mistero delle loro ascendenze remote, esplorai la profondità dei vasti specchi familiari dove talvolta esse non ravvisarono le loro proprie imagini soffuse d'un pallore simile a quello che annunzia il dissolvimento dopo la ...

  • av Lorenzo Magalotti
    345,-

    Orsù, s¿obbedisca la signora Marchesa mia signora col mettersi a scrivere d¿una cosa della quale non si ha tanto capitale da ¿discorrerne altrimenti che per svogliatura: Non le parrà già di strano se, non avendo ella avuto riguardo a sacrificare la mia riputazione più tosto alla delicatezza del suo odorato che alla curiosità del suo spirito, ancor, io non ho riguardo a sacrificare la tranquillità della sua ambizione al genio del mio risentimento. Questo, per una dama parrà un linguaggio nuovo, strano, inaudito. Egli è bene: ma io non sono più quello. Gli anni, le avventure, la lunga solitudine mi hanno fatto dimenticare non l¿essenziale del rispetto, ma ben certe condescendenze di superer...

  • av Giovanni Battista Casti
    375,-

    Quantunque, Donne mie, qualche sofista Dica, facendo alla virtù gli encomi, Che in essa sol la nobiltà consista Senz'altre cartapecore e diplomi; Pur, se fosse ciò ver, dall'aurea lista Oh di quanti dovrian cassarsi i nomi, Che ingombran ampiamente e morti e vivi I venerati polverosi archivi!

  • av Goffredo Mameli
    345,-

    Giorgio, nato a Cagliari, nel 1799, da Don Raimondo Mameli dei Mannelli, era il secondo d'una figliuolanza di tre maschi e due femmine. Non sarà inutile il notare che la famiglia Mameli dei Mannelli, di chiara nobiltà Cagliaritana, ma non di larghe fortune, fu tra quelle che all'arrivo di Vittorio Emanuele I in Sardegna posero a disposizione della Corte, fuggiasca da Torino, gli averi e la vita. Don Raimondo e il fratel suo Don Ignazio prestavano servizio nella piccola marineria militare che i re di Sardegna tenevano nelle acque dell'isola per difesa delle coste, infestate a que' tempi non solamente da pirati Algerini e Greci, ma ancora da corsari Francesi.

  • av Teofilo Folengo
    345,-

    Forte caleffabit gens me citadina vilanum, quod sic Zanninae brusor amore meae, quod ve, bovum stallas usus nettare boazzis, sforzor amorosas fora butare doias. Heu semel in pania cuncti veschiamur amoris: qui non puttus amat, credite, vecchius amat. Nec minus urbanis mattescunt gentibus illi, qui menant pastos ad beverare boves, qui mungunt vaccas, pegoras qui forbice tosant, qui pascunt asinos gramine, fronde capras, quique sciunt magros ad giandas ducere porcos, quique sciunt buschis grana cavare tridis.

  • av Iacopone Da Todi
    345,-

  • av Grazia Deledda
    345,-

    Roma s'avvicinava. La luna di novembre, una grande luna di madreperla, limpida e melanconica, illuminava la campagna: il vento, fortissimo, attraversava con la sua violenza la violenza della corsa del direttissimo. Regina sonnecchiava e sognava di trovarsi ancora a casa sua; il rombo del treno le pareva lo scroscio del molino sul Po. Ma ad un tratto sentì la mano di Antonio stringer la sua e si svegliò di soprassalto. ¿ Fra poco siamo arrivati, ¿ disse il giovane sposo. Regina si alzò, s'appoggiò al finestrino chiuso e guardò fuori. Il cristallo rifletteva l'interno del vagone, il lume, la figura di lei coperta d'una lunga mantella chiara, il suo viso disfatto, rimpicciolito dalla st...

  • av Vincenzo Cuoco
    345,-

    Io imprendo a scriver la storia di una rivoluzione che dovea formare la felicitá di una nazione, e che intanto ha prodotta la sua ruina. Si vedrá in meno di un anno un gran regno rovesciato, mentre minacciava conquistar tutta l'Italia; un'armata di ottantamila uomini battuta, dissipata, distrutta da un pugno di soldati; un re debole, consigliato da ministri vili, abbandonare i suoi Stati senza verun pericolo; la libertá nascere e stabilirsi quando meno si sperava; il fato istesso combattere per la buona causa, e gli errori degli uomini distruggere l'opera del fato e far risorgere dal seno della libertá un nuovo dispotismo e piú feroce.

  • av Remigio Zena
    345,-

    Dite, dite: in qual paese Se ne andò la carovana Dei poeti, che mi apprese Al suonar della diana Quella nenia, quel peana Che ho cantato in gioventù? Per qual vento o qual fiumana Se ne andò la mia tribù

  • av Tommaso Grasso
    345,-

    Marco Visconti

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