av Giorgio Piras
289,-
Erano i giorni della fiera, che si trovava a due passi dall'appartamento. Il traffico ed i suoi rumori impazzavano di sotto, vita, impazienza, nervosismo, risate arrivavano fino al terzo piano. Ma loro due non lo sentivano. Angelina concentrata sulla sua dannata musica, lui perché non esisteva al mondo niente altro che quella ragazzina dal fascino petulante, dai lunghi capelli neri e ricci. Si alzò, indossava un vestitino corto che le lasciava scoperte gambe e spalle, non indossava il reggiseno, con un rapido movimento sciolse i capelli, roteò la testa e questi le cascarono intorno e sulle spalle come una bottiglia di china rotta. Cominciò a muoversi lasciandosi trasportare dal ritmo, avanti e indietro, come un onda, i fianchi che si muovono davano l'impressione che fosse capace di dominarlo quel ritmo. Padrona di quell'impulso, di quella danza che d'improvviso non rappresenta più niente di falso, di taciuto, di vile o meschino. Le braccia che si muovono sulla testa come seguendo un altro ritmo, un sorriso immobile, pensiero di belle cose, di provocazione, di offerta. Un sorriso che non appariva più suo ma della musica stessa. Un sorriso dato dalla capacità di vivere il presente. Angelina non si proiettava mai verso il futuro. La sua frase preferita era: "si vedrà ". Viveva intensamente il presente. Ed era fra le cose che più amava di lei Filippo. Questa capacità di annullare ogni tipo di congettura. Lui la osserva, lei con il suo vestitino lillà , le piccole tettine, il suo ondeggiare ed è sicuro che non ha mai visto niente di più bello e desiderabile. Ascolta anche la musica e nel motivo popolaresco semplice ma ricco di tradizioni secolari, trova racchiuso un confuso presentimento di cose che avverranno, perché in fondo la musica è solo questo: rimpianto del passato e speranza del futuro. In quel momento lui sta vivendo la disperazione dell'oggi, fatta dal rimpianto del passato e dalla speranza del domani. Fuori da questo la musica non c'è, la poesia non esiste. A questo pensiero Filippo, circa il rimpianto del passato legato alla musica, ricorda gli anni della Somalia. Un giorno particolarmente gli sovviene; quando durante un cruento combattimento, persero la vita decine di suoi connazionali e centinaia di uomini e donne e bambini somali. Ricorda la mestizia con cui il Reggimento fece ritorno al campo. Nessuno parlava e regnava un silenzio pieno ed ingombrante. A un certo punto, mentre tutti erano chiusi nelle proprie tende o container, un Sergente Maggiore prese il suo clarinetto e lo portò alle labbra. Le note si levarono in quella notte di sangue. Note lugubri e celesti al tempo stesso. Note potenti che scendevano fino ai più profondi recessi, per poi lanciarsi all'infinito. Quelle note ebbero il potere di restituire dignità a tutti loro. Nonostante tutto.Per quanto avessero dovuto vivere quanto vissuto, in quel momento vivevano una carezza di assoluto. Non meritata, certo, ma non per questo non accolta con speranza.La musica li univa in una tela fatta di migliaia di lacrime invisibili e per un attimo si sentirono una cosa sola.